
di Sandro Bernabei
Parlare ancora di Pinocchio significa prendere atto di un’idea che non ha tempo, perché inscrivibile nella concretizzazione del presente. L’attenzione di varie forme d’arte nei confronti della favola di Collodi, dal cinema al musical all’opera lirica, nonché la recente decisione della Francia di adottarla come libro di testo nelle scuole, ne sono tangibile testimonianza. Se riusciremo a intendere in questo universo il senso dell’attualità noi crediamo che la favola del burattino-bambino conserverà sempre immutate le radici del presupposto. In questi termini abbiamo orientato la nostra rilettura che non è alla costante ricerca di sempre nuovi e più complessi stilemi, capaci solo di amplificare toni e personaggi che poco hanno a che fare con la freschezza intuitiva dell’autore. Ancor prima che esegeti o scopritori di ‘notizie’ inedite, ci premeva semplicemente considerare le strutture che sono alla base del consenso spontaneo e universale di una favola che non ha pregi di grande letteratura, ma che sicuramente ha intuizioni geniali.
La sostanza poetica ed esistenziale del Pinocchio collodiano, non va rinvenuta, a parer nostro, in artificiose estrapolazioni di prototipi sociali più o meno rintracciabili, più o meno definiti, come chi vuol vedere ad esempio in Mangiafuoco “la parodia degli atteggiamenti tipici dei superbi”, ma nel vissuto infantile, che popola di fantasmi interpretativi la realtà circostante, dando figura alle paure ed alle istanze di rassicurazione, alle emozioni, in definitiva, attraverso un approccio fiabesco, e dunque irrazionale, al mondo. Vissuto scaturente dal dualismo manicheo che accende il sorriso della Fata e l’agguato della perfidia, avvertiti ingenuamente come alternative corrette della scelta, e che si rivelano invece opposti non ugualmente praticabili in rapporto alle conseguenze che sottendono.
La precisa definizione delle strutture portanti dell’età evolutiva non si apre a un ventaglio di possibilità interpretative se non nell’ambito di una lettura artificiosa, addirittura errata. Pinocchio non è un coacervo di azioni e di pensieri cattivi che d’improvviso si ordina in un coerente ed organico percorso grazie alla scoperta di un Paradiso perduto. È un bambino che scopre a mano a mano l’effimera consistenza della libertà, della condizione naturale, del segmento ideale della vita. E la tensione al recupero, al riequilibrio tra l’originario tracciato e il granitico urto con i codici di una civiltà apparente, genera un continuo adattamento che non può essere immune da inevitabili scontri di dimensioni esistenziali.
Il sottile flusso di ironia nella reale presa di coscienza del pensare e dell’agire dell’adulto, sostanzia in effetti questo trapasso, e le convergenze o le divergenze che orientano le scelte, conseguono alla frattura dell’iniziale equilibrio naturale. Sicché il bene e il male sono semplicemente aspetti di un’unità interrotta, che nel tentativo di ricostruirsi determina un insieme di processi psicologici che acuiscono il senso dell’individualità, della solitudine, dell’errato proporsi di fronte alla realtà.
Se il teatro, come era probabilmente nell’anima dei Greci, non è la rappresentazione della vita sulla scena, ma si muove lungo le scene della vita stessa, una ragione in più giustifica la trasposizione drammatica della favola, conferendole un risalto finalmente realistico e non più semplicemente annidato nella psiche infantile. Trasposizione che veste i panni di un’opera lirica, protesa al recupero della semplicità, dell’ingenuità, dell’ironia e del senso della realtà in un gioco di musica e parole che libera la fantasia del bambino e parla con serenità all’adulto con un linguaggio che aggiunge alla forza che impersona e che dice, l’apporto di una musica capace di non estraniarsi, ma di aderire con energia e con pregnanza all’essenza dell’oggetto.
Il risultato, lo crediamo, non diventa soltanto coinvolgente, ma pervasivo, nei confronti dell’infanzia per le ragioni anzidette, nei confronti dell’adulto per l’insopprimibile nostalgia di ritorno al mito di un’età perduta. La musica infatti riesce, per le sue caratteristiche di indeterminatezza e di allusività, non solo ad esaltare contenuti dai contorni più evidenti e precisi, ma ad aggiungere sfumature di sentimento e di emozione diversamente non attingibili.